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L'artista indossa abiti neri ed è in piedi con tre alte sculture realizzate in cemento bianco, poggiate sul pavimento.

Siamo avvolti in un panno dal momento in cui nasciamo fino al giorno in cui moriamo. Abbiamo un rapporto molto personale con esso, è performativo; lo usiamo per identificare noi stessi, le nostre religioni, i nostri lavori e persino le nostre nazionalità. È carico di simbolismo e metafore che spesso esploro attraverso il mio lavoro in un modo più decostruito e defamiliarizzato.

Le vestigia sono i segni che qualcosa è passato, un ricordo tangibile in un frammento o residuo di ciò che è stato e se n'è andato. Il mio lavoro cattura queste tracce, suggerendo i ricordi di eventi passati che hanno lasciato cicatrici nel paesaggio della psiche, creando un'opera ossessionata dalla perdita o dalla tragedia.

Queste tracce rimangono ostinatamente contro l'impossibilità di qualsiasi ritorno, una resilienza di presenza che esige espressione, l'energia persistente della ripetizione inconscia e creativa. Sono echi visivi, registrati nella meticolosa raffinatezza degli oggetti realizzati e nell'intenso lavoro artigianale, affinato attraverso la modellatura, la pittura, la levigatura, la raschiatura, la modellatura e la fusione.

Le sculture sembrano avvolgere e solidificarsi attorno a qualcosa che è scomparso da tempo: il centro arioso sospeso come un respiro inalato. Le superfici levigate e lisce come il marmo ricordano l'iconografia rinascimentale, portando alla mente lo spirituale?

C'è movimento e grazia nell'opera. Le superfici e le pieghe sono significative quanto ciò che si trova all'interno quando si legge, giocando con ciò che è nascosto, rivelato e capovolto. L'uso del monocromo focalizza l'attenzione su una tensione tra forma e astrazione, evidente nella forma enigmatica e nella specificità del materiale.

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